L’ancellotta è un uva molto particolare, è un uvaggio particolarmente dotato di polifenoli, tanto che che anche la polpa è particolarmente colorita.
Nonostante la elevata presenza di antociani, è un uvaggio molto delicato, e soffre l’ossigeno particolarmente infatti gli addetti ai lavori la definiscono un uva bianca rossissima.
La sua naturale predisposizione enologica è ad espressione di frutta rossa e gusto tendente alla neutralita’ , caratteristica che la ha resa un potente alleato di chi imbottiglia, e fra questi anche i piu’ rinomati e costosi vini italiani sono presenti.
Chiaramente uno dei vini piu’ conosciuti sempre fra gli addetti ai lavori è il Rossissimo
che si usa in basse percentuali per colorire i vini a cui per svariati motivi manca quella tonalita’ di rosso.
Come vitigno l’ancellotta è molto molto poco diffuso, é diffuso principalmente nella provincia di reggio emilia, qualcosa c’è anche nella provincia di modena con volumi molto molto ridotti.
E’ un vitigno che ha nella bassa fertilita’ delle gemme il suo segreto, ed e’ piuttosto poco produttivo rispetto ad alti vitigni come i lambruschi presenti in tutta la zona, ha una foglia caratteristica tipica ed unica.
Ha una forte sensibilita’ alla peronospora che complica molto il lavoro in regime biologico, m lavorando con tecniche agronomiche e seguendo molto il vigneto con piccoli interventi tempestivi riusciamo ad avere un bel prodotto organoletticamente superiore.
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La Famiglia Rota è nel mondo del vino da poco prima della prima guerra mondiale, Il bisnonno Roberto acquistò la prima cantina in Arceto e comincia il destino di noi vignaioli.
Gli affari girano, sono anni duri in cui il vino non è solo un piacere ma un vero e proprio alimento che permetteva alle persone di affrontare con serenita’ lunghe giornate di lavoro pesante in campagna. Non esistevano trattori in zona e la maggior parte dei lavoratori erano braccianti e solo quando piu’ fortunati erano Mezzadri.
Gli affari girano e le cantine si moltiplicano anche in Arceto. Il figlio di Roberto , Benso nasce nel 17 , e subito dopo gli studi si capisce il fiuto negli affari. La cantina prosegue la attivita’ ma la seconda guerra mondiale mette alle strette Benso mandandolo a combattere in Grecia, di questa esperienza non proferira’ mai parola.
Subito dopo la guerra Benso capitalizza le vendite di auto da corsa Italiane in Argentina comprando una cantina piu’ grossa a Castellazzo ampliando notevolmente la capacita’ produttiva e la tipologia dei prodotti offerti.
Il commercio fiorisce e i clienti sono nelle piu’ rinomate zone produttive italiane, Barolo, Barbaresco, Montalcino, Monticiano,Verona etc…
A meta’ anni 70 Benso Acquista dal Comm.Davoli la tenuta con la Villa nel Mezzo, viene costruito un mulino per cerali, ci sono bovini, suini, un caseificio , una piccola cantina diverse case coloniche etc.
Con Marco il figlio primogenito di Benso l’attivita’ fiorisce, e si sviluppa notevolmente la parte viticola che poi prende il sopravvento sul resto delle attivita’.
Nel frattempo viticoltura , ed agricoltura in genere passano anni di grande cambiamento si passa una bassa produttivita’ con poca meccanizzazione a una atomazione sempre piu’ avanzata. E cosi’ anche i vigneti e i vini derivanti passano da alta produzione a basso grado a bassa produzione ad alto valore aggiunto.
Daniele il figlio secondogenito di Marco dopo gli studi con laurea in Enologia , accumula diverse esperienze sul campo, affianco Marco nell’azienda agricola nel 2013 , in primis vengono aggiornate le macchine poi i vigneti.
Si ottiene la certificazione Biologica , dopo 2 anni di lavoro e si cambia strategia seguendo un filone produttivo piu’ sostenibile e vicino all’economica circolare/km0.
Nel 2020 viene l’intuizione sulle potenzialita’ dell’ancellotta appassita, e nel 2021 dopo le prime microvinificazioni nasce la vendemmia del passito.
I vigneti sono quelli intorno alla villa dove il nuovo sistema di allevamento con vigneto interamente in acciaio inox permette l’igiene perfetta gia’ in vigna dove di fatto vengono fatti i prodotti , e qui nasce L’indelebile di villa Davoli.
Dopo oltre 100 anni di storia enologica portiamo l’Ancellotta nel suo posto a tavola.
Acquistata insieme al fondo circostante a meta’ anni 70 è stata conservata al meglio possibile, solo alcuni particolari sono stati aggiornati per mettere il sicurezza con gli standart piu’ moderni gli attuali proprietari.
Il giardino stesso ha subito poche modifiche , principalmente le siepi di bosso sono scomparse insieme ai pioppi che facevano da recinzione.
In compenso sono comparti una ventina di Olivi, varieta’ Leccino che si sono trovato subito a loro agio vista la spettacolare esposizione nord sud della villa.
I prunus , i Noci e i tigli sono ancora al suo antico splendore.
Intorno alla villa sono stati aggiornati e sono circa 10 ettari tutti con materiali rinnovabili come l’acciao Inox derivante da scarti di produzione riportati a nuova vita, chiaramente un materiale cosi’ nobile ha anche un forte impatto igienico , oltre che ottico visto che rifrange la luce
di seguito riportiamo uno scritto sulla villa di cui sotto riportiamo gli autori:
“La villa, destinata a casa di vacanze per la famiglia di Aristide Davoli (lo stesso a cui Bottoni arreda la casa di Varese nel 1931), sorge nella campagna reggiana.
Dentro a un recinto quadrato un giardino, al centro il cubo dell’edificio e al suo interno, a tutta altezza, un grande invaso: si potrebbe dire che villa Davoli è il calco di una domus romana. il giardino si snoda infatti attorno al volume costruito come un sistema di stanze, tra loro divise da basse siepi, alcune interamente piantumate a pioppi, altre a prato e ghiaia, una con alberi da frutto ad alto fusto, come fichi e noci, per creare l’ombra al gioco delle bocce, e un’altra invece solo con peri e meli a spalliera. Queste stanze, affacciandosi, come attorno a un porticato, sulla veranda e sulla balconata continua per tre lati della villa, sembrano poter trasformare il grande invaso del pranzo-soggiorno nel patio di una dimora antica.
Del resto, come in un patio, su questo vero e proprio cuore della vita comunitaria si raccolgono tutti gli altri spazi della casa con i relativi servizi: al piano terreno il locale credenza, la cucina, l’atrio, lo studio e al primo piano le camere da letto. La semplicità e soprattutto l’estrema essenzialità degli arredi, progettati anch’essi da Bottoni, e la relativa nudità delle alte pareti, su cui si stagliano ampie vetrate, rafforzano l’impressione che ci si trovi di fronte a uno spazio aperto e non chiuso, tanto è l’esterno il vero protagonista di questo interno.
Lo stesso camino, simbolo delle internità più chiuse, appare qui come dissimulato dal lungo e basso mobile a ripiani che lo incornicia e che lo rende simile piuttosto a un fuoco campestre.
Al contrario nella cucina, in una delle stanze meno proiettate verso l’esterno, il camino riprende le forme imponenti e tradizionali proprie delle intimità più raccolte. Non a caso la diversità di questo luogo appare segnata all’esterno da un caldo muro di mattoni che ne cinge il volume, mentre tutto il resto della muratura ha il colore dell’intonaco a calce.
Una scala a chiocciola porta al terrazzo sul tetto, mentre tre piccole scalinate sembrano voler ancorare la casa alla terra. La struttura portante è in mattoni con i solai di cemento armato.
La villa, insieme alla casa di via Mercadante a Milano e alla villa Dello Strologo a Livorno, è tra le opere presentate da Agnoldomenico Pica nella mostra sull’«Architettura italiana» allestita nel 1936 per la VI Triennale.”
Graziella Tonon
In G. Consonni, L. Meneghetti, G. Tonon (a cura di) Piero Bottoni. Opera completa, Fabbri, Milano 1990, pp. 234-235.
http://www.archiviobottoni.polimi.it/terzo_livello/operaor.php3?num=112